La Corte costituzionale nella sentenza n. 143/2024 ha dichiarato che non è consentita la rettificazione anagrafica di sesso nel registro dello stato civile in un genere non binario; inoltre, la Corte ha stabilito che la persona che ha già ottenuto la rettificazione di genere, qualora intenda modificare i propri caratteri sessuali con trattamento medico-chirurgico può farlo senza dover chiedere l’autorizzazione al giudice. Il caso Una persona di sesso anagrafico femminile, non identificandosi in tale genere né in quello maschile, bensì in un genere non binario, ha fatto ricorso al Tribunale di Bolzano per ottenere la rettificazione del proprio genere da “femminile” ad “altro” e per essere autorizzata a sottoporsi ad interventi medico-chirurgici per modificare i propri caratteri sessuali. La ricorrente già in giovane età aveva iniziato ad utilizzare un nome maschile, manifestando un’inclinazione verso tale genere, senza tuttavia identificarsi totalmente in esso. Dopo essersi rivolta ad una struttura sanitaria pubblica, le è stata diagnosticata una disforia di genere con identificazione non binaria. Da qui la decisione della ricorrente di rettificare il genere che le è stato attribuito alla nascita e modificare con trattamento chirurgico i propri organi sessuali. Le questioni Il Tribunale di Bolzano ha sollevato dubbi circa la legittimità di due norme del nostro ordinamento. La prima è l’art. 1 della Legge n. 164 del 1982, il quale non prevede la rettificazione anagrafica in “altro sesso” diverso da quello maschile e femminile. Il Tribunale ha ritenuto che l’impossibilità per l’individuo di riconoscere tramite la procedura di rettificazione di sesso la propria identità non binaria comporti la lesione del principio di uguaglianza, del diritto all’identità, alla salute e al rispetto della vita privata e familiare della persona. La seconda norma censurata è l’art. 31, comma 4, del D.Lgs. n. 150 del 2011, che consente il trattamento medico-chirurgico di modifica dei caratteri sessuali solo se c’è l’autorizzazione del giudice. Secondo il Tribunale, la necessità di tale autorizzazione viola il diritto all’autodeterminazione in ambito sanitario, il diritto alla salute, nonché il principio di uguaglianza, in quanto tempi e costi del processo ostacolerebbero il diritto del paziente che ha già ottenuto una valutazione medica favorevole alla transizione di genere. La Corte costituzionale In merito alla prima questione, relativa all’illegittimità della legge sulla rettificazione di sesso che non prevede il terzo genere non binario, la Corte costituzionale ha dichiarato che l’eventuale introduzione di un genere “altro” di stato civile avrebbe un impatto generale, che implicherebbe necessariamente un intervento parlamentare in vari settori del diritto che attualmente sono regolati con logica binaria maschile-femminile. Si pensi, tra i tanti, al binarismo di genere che caratterizza il diritto di famiglia in materia di matrimonio e unione civile, il diritto del lavoro per le azioni positive in favore della lavoratrice, il diritto dello sport per la distinzione degli ambiti competitivi, l’organizzazione dei luoghi di contatto, quali carceri, ospedali, ecc.. Per questi motivi, la Corte ritiene legittima la norma che prevede la rettificazione anagrafica solo nel genere maschile e in quello femminile. In ordine, invece, alla seconda questione, relativa alla necessaria autorizzazione del tribunale per effettuare trattamenti chirurgici di modifica dei caratteri sessuali, la Corte costituzionale ha affermato che tale autorizzazione è irragionevole. Infatti, poiché la giurisprudenza ritiene che possa essere autorizzata la rettificazione anagrafica anche senza il previo intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali laddove il percorso di transizione sia già sufficientemente avviato, prevedere un’ulteriore autorizzazione giudiziale per tale intervento non ha ragion d’essere, se si considera che il suddetto intervento potrebbe avvenire anche successivamente alla rettificazione del genere nel registro dello stato civile. Osservazioni Dalla sentenza della Corte costituzionale esaminata derivano due importanti conseguenze pratiche per chi ha intrapreso il percorso di transizione di genere: